Troverò la strada

era cresciuto nella foresta
tra cortecce e pigne
e sassi
e fiumi
ricordava a malapena i suoi genitori
sua madre per niente
tutto quel che sapeva
lo aveva appreso da sé
sapeva trovare il cibo
sapeva cacciare
sapeva capire
quando stava per piovere
non dormiva mai
nello stesso luogo
era forte
ma non sapeva cosa fosse la bellezza
non aveva mai incontrato
un altro essere umano
camminava e
camminava
nella foresta
era un nomade
per indole
e per sopravvivenza
troverò la strada
si diceva
troverò la strada
parlava con gli alberi
ma loro non parlavano con lui
sapeva saltare
tra un ramo e l’altro
veloce come uno scoiattolo
quella mattina pioveva
lui lo sapeva da una settimana prima
pioveva forte
e lui zampillava tra i rami
con la sua feroce eleganza
sbucò
in una distesa d’asfalto
estesa fino all’orizzonte
la foresta era terminata
era la prima volta
che vedeva
una strada d’asfalto
cominciò a correre
seguendola
lui non ne era cosciente
ma correva molto
più veloce di altri uomini
saettò per una lunga distanza
senza stancarsi
poi
si imbatté
in un’automobile sportiva
rosso fiammante
avvampava nel tardo mattino
compì qualche giro
attorno
al forastico veicolo
incantato
si scatenò
in una danza tribale
ammirandola
una donna calò dal mezzo
lui rimase immobile
aveva appena smesso di piovere
lei disse
ciao
lui capì quello che disse
e fu in quel momento
che ricordò sua madre
e le storie che gli raccontava
ciao
disse
lei le spiegò che quella era un’automobile
e che poteva
insegnargli a guidarla
lui accettò
e presto divenne
capace
imparare
era l’unica cosa
che aveva imparato a fare
sfrecciarono
lui
e lei
e l’auto bruciante
su quella strada
interminabile
guidò fino a tarda notte
in estasi
il cielo
era luci tremolanti
e bagliori
nell’oscurità
lei bacio lui
e la sua indecifrabile barba
si accoppiarono
e scoprì
cos’era
la bellezza
quando lei
si stese su di lui
mentre osservava la notte
con il tettuccio dell’automobile aperto
poi decisero di avviarsi
ma quando
stavano per partire
sentì un richiamo
dentro di sé
incontenibile
e
selvaggio
e si accorse
che stava già dimenticando la foresta
si sentì arrabbiato
scese
andò davanti la portiera dov’era lei
e l’aprì
la prese per un braccio
la fece scendere
poi la voltò
le strinse il culo
tirò su la sua gonna lunga
e si innestò nella sua carne
e colpì
mentre lei inarcava il collo
come i pesci che saltano
fuori dai torrenti
sfamandosi
fu breve
intenso
e barbaro
infine
lei baciò
lui
ardentemente
e gli disse che era matto
fu colto
da inequivocabile
stupore
scoprì
la consapevolezza
di aver ricevuto
un inestimabile dono
partirono alla volta dell’alba
correvano come antilopi
dagli zoccoli bollenti
quando una ruota scoppiò
e rotolarono
ancora
e ancora
e ancora
la carcassa dell’auto
distrutta
ingabbiava quella di lei
e lui scoprì
la solitudine
incomprensibile
e irrimediabile
corse via e arrancò fuori strada
ferito
nel corpo
nel cuore
nella mente
e trovò la foresta
e saltò sui rami
cosciente
che per un brevissimo attimo
aveva trovato la strada
e che si doveva andare
quando
non c’era nessun posto
in cui tornare
e andò per la sua strada
da qualunque parte
questa
l’avesse condotto

Schermata 04-2457115 alle 01.57.31

Il tuo nome #4

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Passo uno: riflettere.

Risultato: comincio a correre fino a quando il fiatone non mi ferma. Tossisco e mi metto in ascolto. Non sento più nulla, perfetto, sono solo diventato pazzo, posso andare avanti con calma. Un passo e mi blocco.

– Cazzo cazzo cazzo, – dico.

Mi volto e riprendo a correre fino al punto in cui ho sentito le urla. Ascolto. Le sento ancora, anche se non sono più continue. Scatto nella loro direzione.

– Merda merda merda, – blatero. Alberi fragili, secchi e bruciati. Le urla si sono chetate, proseguo. Sto salendo su un pendio, è faticoso. Quando sono quasi in cima sento la voce di un uomo. Rallento e mi affaccio nascondendomi dietro un masso. Il terreno riscende in una piccola conca senza alberi, sembra un grande stagno pieno di cenere. Ci sono due uomini. Il più vicino a me è molto alto e largo di spalle, è rasato con la barba lunga. L’altro è piccolo e magro, i suoi capelli sembrano unti e appiccicosi; tiene una donna per un braccio. Lei ha i capelli scompigliati e rossi, la carnagione pallida e bianca, i vestiti sporchi e laceri. L’uomo piccolo le dà uno schiaffo e la donna cade a terra. – Ti ho detto di stare zitta, troia! – urla, e la colpisce con un calcio. L’omone comincia a ridere fino a piegarsi. Io comincio a inveire contro la mia terribile sfortuna. – Adesso ti facciamo urlare noi, vero Ciocco? – Ciocco ride. – Ti sentiranno godere tutti gli stronzi di questo mondo -. Prova a sfilarle i pantaloni, lei si dimena, lui le dà un pugno, lei sviene. Ciocco è piegato dalle risate, dice: – Sguincio! Se la fai svenire non urla, svegliala!

L’uomo piccolo le sfila completamente i pantaloni, gli dà due schiaffi per farla rinsavire ma niente. – Tu fa’ come vuoi, io me la scopo così, – e si slaccia i pantaloni. Io poso lo zaino dietro il masso.

Il volto mi si tende. Le mie pulsazioni raggiungono un ritmo frenetico. Sento le palpebre ritirarsi, e mi sembra che i bulbi oculari non abbiano più bisogno d’idratazione. Avverto una pressione all’interno dei muscoli delle braccia, diventano rigidi come un pistone pronto a scatenare un’improvvisa e potente compressione. Il mio respiro si fa completo e profondo. La cenere che cade è tanta e lenta e soffice, posso fare molte cose prima che un fiocco cada a terra trasportato dal vento. Cade è la parola sbagliata, fluttua è il termine giusto. Raccolgo un ramo di diametro abbastanza spesso da riempire la capienza del palmo della mia mano destra. Ciocco ride. Poi tutto si ferma.

Il mio scatto è goffo, impetuoso e molesto. Sono un guerriero norreno. Salto e urlo. Ciocco, prima di vedere il buio, si volta e vede un uomo volante composto d’ossa prominenti brandire un ramo a due braccia.

L’ho colpito in testa, è caduto a terra, io dopo di lui, in un’esplosione di cenere. Sono un animale debole e micidiale. Sguincio si è riallacciato i pantaloni. La donna si è svegliata e urla, è il canto tremendo della musa della battaglia. Io mi alzo in piedi, la suola della scarpa si è staccata completamente e ho il piede ferito. L’omino tira fuori un coltello dalla tasca ma nella fretta gli cade. Io mi lancio su di lui e finiamo in un’altra esplosione di cenere, io sopra il suo corpo. Gli si spezza il fiato, bestemmia con voce rauca. Mi colpisce in testa e rotoliamo, ora è lui sopra di me. Mi dà un altro pugno in faccia. Vedo il mondo viola, poi giallo poi nero. Sono morto.

Un sasso lo colpisce in testa poi un altro sulla schiena. Improperi vari. Gli cola il sangue sul viso. Gli tiro un pugno sul naso, lui si alza barcollando e coprendosi la faccia. Mi alzo anch’io e vado a raccogliere il ramo con cui ho colpito Ciocco. Scappa, provo a seguirlo ma zoppico, perdo sangue dal piede ferito. Cado in ginocchio. Sono sfinito, un’altra volta vedo viola e poi giallo, ma resisto. Sguincio sparisce dalla mia visuale. Sento piangere, un pianto debole e costante, sordo, pieno di singhiozzi e privo di speranza.

Mi rimetto in piedi e mi volto verso la donna. È raccolta in posizione fetale e mi dà le spalle; è ancora senza pantaloni, vedo il sesso nudo sotto il sedere, il busto sussulta e il corpo le trema. Cammino trascinandomi, il piede mi duole, il bastone in mano, le sono a tre passi. Si mette seduta e arretra come un ragno lasciando un solco nella cenere. Mi guarda: terrore, nei suoi occhi non c’è nient’altro. Ha le gambe piene di graffi e i ginocchi coperti di escoriazioni. Vedo il suo pelo pubico. Lei se ne accorge e chiude le gambe. Io sbatto le palpebre ripetutamente,  raccolgo i suoi pantaloni e glieli lancio. Sento tossire. Mi gira la testa. Ciocco si è svegliato, scatto verso di lui prima che si riprenda. Lo colpisco lo colpisco lo colpisco lo colpisco, in testa. Ho il fiato corto. Il volto è stravolto ed è poco riconoscibile: sangue e polpa di carne in una cornice di barba.

L’ho ucciso.

Mi inginocchio e comincio a slacciargli le scarpe.

C’è puzza di cuore

Nella domenica mattina
postuma
alla febbrile notte
alcolica
i miei ricordi
sono stralci
da definire
l’unica certezza
è il ristoro
concessomi
da questo materasso
di calda carne
ti componi
questo lo ricordo
e quei momenti
di pace
s’avvinghiano
in me
importunando
il tempo speso qui
a non far niente
un telefono squilla
nessuno risponde
un campanello di bicicletta tintinna
nessuno risponde
pronto?
all’abbacinante tenerezza
a cui mai mi abituai
il mondo fa quello che deve fare
ho portato a termine
una considerevole quantità
di cose inutili
e ho messo mano
su un discreto numero
di donne
da allora
baci dico
bugie dico
sesso dico
a volte bello
a volte meno
probabile
io abbia dimenticato
il tuo profumo
ma t’immagino felice
in una chiazza di denti
sul rustico balcone
delle tue labbra
per me
non c’è male
le mie funzioni digestive
seguono un corso
privo di difficoltà
mangio molto
faccio la cacca tre volte al giorno
e mi ricordo di respirare
potrei smanettarmi
innumerevoli volte
pensandoti
riversa su di me
anche se soffro
le alte temperature
aprire la finestra
per far cambiare aria
in questo pezzo
c’è puzza di cuore

henri detoulu

Un uomo solitario

un uomo solitario non ha paura di star solo
perché star solo è la miglior cosa che sa fare
un uomo solitario conosce mille modi per sapersi divertire
non ha mai voglia di tornare
nel suo percorso incontra molta gente e si ferma a chiacchierare
quando incontra i suoi amici ama far casino e far ridere la gente
ma poi di un po’ di tempo da solo ha sempre bisogno
incontra varie donne nel suo cammino
alcune volte due in una notte sola
non ci può fare niente
tanto sa che se ne dovrà andare
a volte ne incontra una che gli dà un tetto e si lascia ospitare
la bacia e l’abbraccia
nel suo letto
ci fa le cose di liquidi e di carne
guardandola negli occhi
mostrandogli il deserto ricoperto di stelle
ci parla
con tutti i muscoli del corpo
come fosse l’ultima volta
ogni singola volta
carezzandola
mentre la stringe al petto
ne saggia il profumo
e ne assorbe il calore
le cucina
il pranzo
la cena
la colazione
per ringraziare
ma dorme la notte con la valigia nascosta sotto il letto
un uomo solitario aspetta qualcuno che riesca a fargli cambiare idea
devi restare uomo solitario
non te ne andare
ma nemmeno lui sa come possa riuscire
lui sente che deve andare
un uomo solitario è intelligente
ma non sa fare a meno dell’istinto
impara a fare mille cose
perché non è abituato ad annoiarsi
non sa darsi pace
ma sa darsi da fare
camminare e camminare
correre se c’è da correre

texas

Mi sa che non so fare niente

Mi sa che non so fare niente
mi sa che non so come continuare
ma t’informo che non è affatto facile
mettere giù due parole
quando è tutto quello di cui senti il bisogno
al punto di lasciar perdere
quello che stai facendo
non hanno bisogno di presentazioni
fanno già abbastanza casini
da sole
quindi attenta
queste parole sono il primo errore che tu possa commettere
so che è un follia incomprensibile
ma tu credimi
non c’è niente di meglio
di stringere la carne
siamo tutti vittime di questo mondo
quindi lanciamoci nel fuoco

lanciamoci nel fuoco
è tanto che io sono nero carbone
oh pensi che sia facile
non fraintendere
pensi che sia facile
appiccicare le parole
appiccicare la vergogna
l’onore
la paura
l’orgoglio
la felicità
l’umiliazione
in ogni caso
c’è puzza di bruciato
fottiamocene
fottiamoci
la tua pelle soffice profuma
e io
mi sa che non so fare niente
non dare mai fiducia ai libri
mentono
non so fermare l’apocalisse
non so fare a meno dei trucchi
e con le parole parlare delle donne
chiediti se parlo di te
dei tuoi vestiti
si potrebbe ridere immensamente
se te li togliessi
queste parole sono il primo errore che tu possa commettere
e se pensi che possa essere facile
sbagli
quindi lanciamoci nel fuoco
e sparpagliamoci nel vento
lanciamoci nel fuoco
è tutto quello che so fare

sch