Il tuo nome #4

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Passo uno: riflettere.

Risultato: comincio a correre fino a quando il fiatone non mi ferma. Tossisco e mi metto in ascolto. Non sento più nulla, perfetto, sono solo diventato pazzo, posso andare avanti con calma. Un passo e mi blocco.

– Cazzo cazzo cazzo, – dico.

Mi volto e riprendo a correre fino al punto in cui ho sentito le urla. Ascolto. Le sento ancora, anche se non sono più continue. Scatto nella loro direzione.

– Merda merda merda, – blatero. Alberi fragili, secchi e bruciati. Le urla si sono chetate, proseguo. Sto salendo su un pendio, è faticoso. Quando sono quasi in cima sento la voce di un uomo. Rallento e mi affaccio nascondendomi dietro un masso. Il terreno riscende in una piccola conca senza alberi, sembra un grande stagno pieno di cenere. Ci sono due uomini. Il più vicino a me è molto alto e largo di spalle, è rasato con la barba lunga. L’altro è piccolo e magro, i suoi capelli sembrano unti e appiccicosi; tiene una donna per un braccio. Lei ha i capelli scompigliati e rossi, la carnagione pallida e bianca, i vestiti sporchi e laceri. L’uomo piccolo le dà uno schiaffo e la donna cade a terra. – Ti ho detto di stare zitta, troia! – urla, e la colpisce con un calcio. L’omone comincia a ridere fino a piegarsi. Io comincio a inveire contro la mia terribile sfortuna. – Adesso ti facciamo urlare noi, vero Ciocco? – Ciocco ride. – Ti sentiranno godere tutti gli stronzi di questo mondo -. Prova a sfilarle i pantaloni, lei si dimena, lui le dà un pugno, lei sviene. Ciocco è piegato dalle risate, dice: – Sguincio! Se la fai svenire non urla, svegliala!

L’uomo piccolo le sfila completamente i pantaloni, gli dà due schiaffi per farla rinsavire ma niente. – Tu fa’ come vuoi, io me la scopo così, – e si slaccia i pantaloni. Io poso lo zaino dietro il masso.

Il volto mi si tende. Le mie pulsazioni raggiungono un ritmo frenetico. Sento le palpebre ritirarsi, e mi sembra che i bulbi oculari non abbiano più bisogno d’idratazione. Avverto una pressione all’interno dei muscoli delle braccia, diventano rigidi come un pistone pronto a scatenare un’improvvisa e potente compressione. Il mio respiro si fa completo e profondo. La cenere che cade è tanta e lenta e soffice, posso fare molte cose prima che un fiocco cada a terra trasportato dal vento. Cade è la parola sbagliata, fluttua è il termine giusto. Raccolgo un ramo di diametro abbastanza spesso da riempire la capienza del palmo della mia mano destra. Ciocco ride. Poi tutto si ferma.

Il mio scatto è goffo, impetuoso e molesto. Sono un guerriero norreno. Salto e urlo. Ciocco, prima di vedere il buio, si volta e vede un uomo volante composto d’ossa prominenti brandire un ramo a due braccia.

L’ho colpito in testa, è caduto a terra, io dopo di lui, in un’esplosione di cenere. Sono un animale debole e micidiale. Sguincio si è riallacciato i pantaloni. La donna si è svegliata e urla, è il canto tremendo della musa della battaglia. Io mi alzo in piedi, la suola della scarpa si è staccata completamente e ho il piede ferito. L’omino tira fuori un coltello dalla tasca ma nella fretta gli cade. Io mi lancio su di lui e finiamo in un’altra esplosione di cenere, io sopra il suo corpo. Gli si spezza il fiato, bestemmia con voce rauca. Mi colpisce in testa e rotoliamo, ora è lui sopra di me. Mi dà un altro pugno in faccia. Vedo il mondo viola, poi giallo poi nero. Sono morto.

Un sasso lo colpisce in testa poi un altro sulla schiena. Improperi vari. Gli cola il sangue sul viso. Gli tiro un pugno sul naso, lui si alza barcollando e coprendosi la faccia. Mi alzo anch’io e vado a raccogliere il ramo con cui ho colpito Ciocco. Scappa, provo a seguirlo ma zoppico, perdo sangue dal piede ferito. Cado in ginocchio. Sono sfinito, un’altra volta vedo viola e poi giallo, ma resisto. Sguincio sparisce dalla mia visuale. Sento piangere, un pianto debole e costante, sordo, pieno di singhiozzi e privo di speranza.

Mi rimetto in piedi e mi volto verso la donna. È raccolta in posizione fetale e mi dà le spalle; è ancora senza pantaloni, vedo il sesso nudo sotto il sedere, il busto sussulta e il corpo le trema. Cammino trascinandomi, il piede mi duole, il bastone in mano, le sono a tre passi. Si mette seduta e arretra come un ragno lasciando un solco nella cenere. Mi guarda: terrore, nei suoi occhi non c’è nient’altro. Ha le gambe piene di graffi e i ginocchi coperti di escoriazioni. Vedo il suo pelo pubico. Lei se ne accorge e chiude le gambe. Io sbatto le palpebre ripetutamente,  raccolgo i suoi pantaloni e glieli lancio. Sento tossire. Mi gira la testa. Ciocco si è svegliato, scatto verso di lui prima che si riprenda. Lo colpisco lo colpisco lo colpisco lo colpisco, in testa. Ho il fiato corto. Il volto è stravolto ed è poco riconoscibile: sangue e polpa di carne in una cornice di barba.

L’ho ucciso.

Mi inginocchio e comincio a slacciargli le scarpe.