Il tuo nome #2

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Raccolgo lo zaino impolverato. Gli do un paio di pacche con il palmo, pat-pat. Lo rimetto per terra. Ripiego il cartone su cui ho dormito. È vecchio è lacerato, mentre provo a infilarlo nello zaino si strappa completamente. Lo lancio per terra, troverò qualcos’altro. Metto la borraccia a tracolla e bevo. Esco fuori. C’è qualche raggio di sole stamattina. Si vede sempre meno. Sempre meno.
La solitudine è quella condizione in cui pensi di non aver bisogno degli altri per sopravvivere, ti rendi conto che è vero e non ti spaventi. Schifo di frase. Anche se agli altri ci pensi. Mi incammino diretto verso Nonsodove. Camminare e camminare. Non ho metà. Comincia a piovere cenere. Mi pizzica il naso. Un edificio sgretolato. Cemento e metallo arrugginito. La solitudine è quella condizione in cui pensi di non aver bisogno degli altri per sopravvivere ma li pensi comunque. Meglio? A dire la verità non so definire bene cos’è la solitudine, anche se dovrei, sono un esperto. Cerco lavoro come solitario professionista, specializzato nel ramo della sopravvivenza, disponibile a tempo pieno. Ho un libro: un dizionario. Lo tiro fuori e controllo.

Solitùdine [so-li-tù-di-ne]
s.f. (pl. -ni)
La condizione, lo stato di chi è solo, come situazione passeggera o duratura.

Una definizione così semplice che per ognuno può avere un significato diverso. – Essere solo, – lo dico con la bocca. Alcune volte parlo, mi serve. Dopo che non dici niente per più di qualche giorno cominci ad avere paura di essere diventato muto. Nessuno mi sente, nessuno potrebbe pensare che sono matto. Anche se diventare matto è la cosa più normale che mi possa accadere. – Sono diventato matto? – dico.

Non sono l’ultimo sopravvissuto. The last of us. Una volta ti divertivi a vivere queste esperienze con i videogiochi. Non ci sono zombie ma ci sono branchi di nomadi che vagano per il mondo. Non sanno nemmeno loro quello che fanno. Fuggono o inseguono qualcosa? Io ho scelto di stare da solo. Niente legami significa più forza, quindi più probabilità di sopravvivere. – Sopravvivere, – dico; perché?
Una frazione di un paesino. Pochi edifici costeggiano la strada, la maggior parte distrutti. Uno ha le pareti bordeaux coperte da sinuose lingue di colore nero bruciato. Entro. Una puzza micidiale. – Che schifo, – dico. Torno fuori e mi sforzo per trattenere i conati di vomito. Prendo la mascherina usa e getta di quelle che compravi nei ferramenta. Anch’io l’ho presa in un negozio di ferramenta, solo che non aveva più il tetto. Riprendo fiato e mi passo il dorso delle mani sugli occhi per togliere due piccole lacrime che scendono sugli zigomi, non so se siano per i conati oppure di pianto. Mi piacerebbe piangere. Entro: polvere e detriti e macchie di putrido. E l’orrore. Il corpo di una donna; marcio, ha il cranio fracassato e i vestiti strappati. Corporatura magra e tozza, forse anni fa era una donna in carne. Le gambe aperte. Sangue sul sesso. Una pietra coperta di sangue coagulato. I vermi pulsano nella carne. Ho scelto di stare solo perché ho visto quello che possono fare gli uomini quando non hanno niente da perdere. O quando hanno qualcosa da prendere. Gli passo a fianco guardando da un’altra parte. Sono in un bar. Vado dietro il bancone e setaccio gli scaffali. Non c’è niente. Trovo un apribottiglie in buono stato e lo metto nello zaino. Mi dirigo nel magazzino, la porta è rotta, e gli scaffali ribaltati. Ci sono delle bottiglie per le confetture degli yogurt gelato. Tutte vuote.  Prendo il coltello e squarcio quella della cioccolata. Raschio il cioccolato solidificato sulle pareti interne e lo mangio. Lo faccio anche con quella dei frutti di bosco e della fragola. Lecco la lama e metto via il coltello. Esco fuori. La cenere continua a cadere, si è alzato un po’ di vento e fluttua nella direzione inversa alla mia, mi si incaglia nella barba. Sento un rumore. Mi immobilizzo. Un muro che si sgretola. Un altro suono nel cielo. Le nuvole hanno coperto il sole. Questo lo conosco. Alzo lo sguardo, un piccolo stormo mi sorvola. Quai-quai-qui. Non so che uccelli siano. – Bellissimi -. Una volta avrei potuto studiare i loro nomi. Conoscere i nomi degli uccelli e delle piante. – Bellissimi, – commento. Si allontanano veloci nell’aria. Le ali li alimentano. L’aria tra le piume. Vermi e uccelli quest’oggi. L’aria tra le piume. Mi avvio nella cenere del mattino seguendo uccelli nel cielo che dopo dieci passi scompaiono.

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